
La Tragicommedia della Formazione Continua: Ovvero, il Grande Circo dei Master
Eccoci qui, miei cari e illustri lettori, a contemplare un altro mirabolante prodotto dell’ingegneria accademica: il Master di II livello in “Scuola-Laboratorio e Intelligenza Artificiale per Prevenire il Disagio Giovanile”. Il titolo, da solo, è un’opera d’arte. Un vero e proprio ossimoro che tenta di far convivere due mostri sacri del nostro tempo: la “scuola-laboratorio”, archetipo della pedagogia progressista degli anni ’70 che a suo tempo non funzionò e figuriamoci oggi, e l’“Intelligenza Artificiale”, la nuova divinità pagana a cui si immola ogni speranza di progresso. Il disagio giovanile, poi, è il sale della terra. Senza il disagio, come faremmo a vendere soluzioni che, con un po’ di ottimismo, potrebbero essere considerate un palliativo? È la solita, triste storia: si crea un problema, lo si ingigantisce fino a farlo diventare un’epidemia sociale, e poi si propone la cura miracolosa, confezionata con un bel fiocco di parole altisonanti e un prezzo da salasso.
Il comunicato esordisce con un solenne “In un’epoca di rapidi cambiamenti sociali e tecnologici, la scuola è chiamata a rispondere a sfide complesse…”. Ma davvero? E noi che pensavamo che la scuola fosse una sorta di isola felice, un’oasi di immutabile staticità. Si ringrazia l’autore di averci illuminati su questa verità lapalissiana. Il tono è quello del manifesto programmatico, del “noi siamo qui per cambiare il mondo”. Ma in realtà, come vedremo, siamo di fronte a un’operazione di marketing che sfrutta la retorica del “disagio” per vendere un prodotto. Un prodotto che, per inciso, è identico a centinaia di altri prodotti.
Primo Atto: Il Grande Inganno della Specificità
Il primo punto di questa tragicommedia è il grande inganno della specificità. Ci si chiede: quanti elementi sono inerenti il tema e quanti sono validi per qualsiasi tipo di formazione? Permettetemi un ghigno amaro. La risposta è: quasi nessuno è specifico, quasi tutto è un’intercambiabile e trita banalità. Analizziamo.
Si parla di “integrazione di strumenti innovativi e scientificamente validati nella didattica e nella progettazione educativa”. Scusate se mi soffermo, ma questa frase è un capolavoro di vacuità. A parte il fatto che “innovativi” è una parola che ha perso ogni significato nel momento in cui è entrata nel gergo aziendale, cosa significa “scientificamente validati”? Qualsiasi corso di formazione degno di questo nome dovrebbe basarsi su principi scientificamente validati. Non si sta vendendo un elisir di lunga vita, ma un corso di studi. Ma l’aggettivo “scientificamente” serve a dare un’aura di serietà, di rigore, a un testo che altrimenti rischierebbe di essere smascherato per quello che è: un dépliant pubblicitario.
E che dire delle “caratteristiche distintive”?
“Contenuti all’avanguardia”: di nuovo, un cliché talmente abusato che se avesse un conto in banca sarebbe in rosso profondo. Quale master si sognerebbe mai di presentarsi con “Contenuti obsoleti”? Nessuno. È un’affermazione vuota, buona per ogni stagione e per ogni corso, dal master in “Gestione della Spesa Pubblica” al master in “Filatelia Comparata”.
“Modalità didattica flessibile”: Il Distance Learning è presentato come un’innovazione, una “gestione autonoma e flessibile del tempo di studio”. Ma per favore. Il mondo accademico ha scoperto il Distance Learning per la prima volta durante la pandemia, ma il resto del mondo lo conosce da decenni. È la base di qualsiasi corso online. Non è una caratteristica distintiva, è la normalità. E la flessibilità è un eufemismo per dire che vi arrangerete da soli con le registrazioni, ma vi costerà come se aveste una cattedra di marmo.
“Corpo docente qualificato”: Mi si consenta una risata grassa. Quale università, quale istituzione, si vanterebbe mai di avere un corpo docente “non qualificato”? Sarebbe come un ristorante che si fregia di avere uno chef che sa a malapena friggere un uovo. È il minimo sindacabile, la base di partenza, non un punto di forza da sbandierare. Eppure, eccolo lì, nel testo, a fare bella mostra di sé, come se fosse un valore aggiunto.
Quindi, alla domanda su quanti elementi sono validi per qualsiasi tipo di formazione, la risposta è: tutti gli elementi che dovrebbero dare un valore aggiunto al master sono in realtà dei requisiti di base per qualsiasi corso di studi serio. L’unico elemento specifico è il tema stesso, ma anche quello, come vedremo, è trattato con una superficialità disarmante.
Secondo Atto: L’Intelligenza Artificiale Fantasma
Passiamo al secondo punto: quali concetti relativi all’Intelligenza Artificiale vengono davvero enunciati? La mia penna, o quel che ne resta, trema per la commozione. L’Intelligenza Artificiale, questo fantasma onnipresente e onnipotente del nostro tempo, viene menzionata, ma non viene mai spiegata. Viene usata come una sorta di esorcismo, un mantra magico che serve a scacciare il male del “disagio giovanile”.
Il testo parla di “potenzialità offerte dall’Intelligenza Artificiale” e di “applicazione etica e responsabile dell’IA in ambito educativo”. Che dire? È un po’ come dire che un corso di cucina vi insegnerà a usare il “forno” e a cucinare in modo “etico e responsabile”. Ma cosa significa? Si parlerà di machine learning? Di reti neurali? Di algoritmi predittivi? Di analisi dei dati per identificare i pattern di comportamento a rischio? Non lo sappiamo. Il testo non lo dice. Non un solo concetto tecnico, non un solo esempio concreto. L’IA è un’etichetta vuota, una scatola scintillante che nasconde il nulla.
È il classico trucco del “buzzword bingo”. Si prende una parola di moda, la si inserisce nel titolo e nel testo, e si spera che l’alone di prestigio che la circonda sia sufficiente a distogliere l’attenzione dal fatto che non si sta dicendo nulla di concreto. L’IA, in questo contesto, è un puro espediente retorico. È la prova provata che il “programma di studi, dal carattere interdisciplinare” non è stato sviluppato “in collaborazione con accademici e ricercatori di prestigiose istituzioni” e “con alcuni tra i maggiori esperti internazionali di Intelligenza Artificiale”. Se lo fosse stato, ci sarebbe almeno un accenno, un indizio, su cosa questi “esperti” dovrebbero insegnare. Invece, il silenzio. Il silenzio assordante della retorica fine a sé stessa.
Terzo Atto: L’Impostazione del Nulla
Infine, l’ultimo punto: quale impostazione avrà il corso? Qui, il sarcasmo cede il passo a una sorta di malinconica rassegnazione. L’impostazione del corso sarà… quella di un corso. Sospirone. Non si fa menzione di progetti specifici, di laboratori pratici (sebbene il titolo ne faccia cenno), di casi di studio. Non si parla di un’impostazione “sperimentale”, “critica”, “tecnica” o “umanistica”. Si parla solo di “un solido bagaglio teorico e metodologico”.
Ancora una volta, siamo nel campo delle ovvietà. Qualsiasi master che si rispetti dovrebbe fornire un bagaglio teorico e metodologico. Ma quale? La teoria di chi? La metodologia di che scuola di pensiero? Non ci è dato saperlo. L’impostazione è così generica che si applica tanto a un master in ingegneria che a uno in filosofia.
In sostanza, l’impostazione del corso sarà un’amalgama indefinita di concetti pedagogici e una spruzzata di fuffa sull’AI. Sarà un corso che promette di “operare con consapevolezza per migliorare la professionalità nelle specificità della scuola dell’autonomia contemporanea”, una frase così contorta e pomposa che sembra uscita da un verbale ministeriale degli anni ’80. Non si promette di risolvere il disagio giovanile (sarebbe troppo sfacciato), ma di “prevenirlo”. Ma come? Con cosa? Non lo sapremo mai. O meglio, lo sapremo solo dopo aver pagato la retta, e a quel punto sarà troppo tardi.
Conclusione: Il Trionfo dell’Apparenza
In conclusione, questo testo è un perfetto esempio di come la forma abbia completamente divorato la sostanza. La pomposità della lingua, l’abuso di parole chiave, la vaghezza delle promesse, tutto serve a nascondere una realtà molto più banale: un’università sta lanciando un master su un tema attuale per attirare iscrizioni. Non c’è un’idea rivoluzionaria, non c’è una visione profonda, c’è solo un’operazione di marketing che sfrutta la paura del “disagio giovanile” e l’esca scintillante dell’Intelligenza Artificiale per pescare nel torbido.
E la cosa più triste, cari lettori, è che funzionerà. Perché in quest’epoca di cambiamenti, in cui tutti si sentono chiamati a “rispondere a sfide complesse”, pochi hanno il tempo o la voglia di fermarsi a leggere tra le righe, a smascherare l’artificio retorico. E così, l’ennesimo master verrà venduto, l’ennesima professionalità verrà “migliorata”, e il disagio giovanile, l’unico vero protagonista di questa farsa, continuerà ad aggirarsi indisturbato. E noi, vecchi cronisti stanchi e disillusi, continueremo a scrivere della caduta degli dei in un mondo dove l’unica cosa sacra è l’ultima parola di moda.
