L’annata degli impiegati esecutivi dell’istruzione?

Copertina fake
Manuale per l’Anestesia del Senso Critico

Mio Dio, signori. Eravamo rimasti alle dispense ciclostilate, all’odore acre di alcol e inchiostro che permeava le mattine in sala professori. Tempi andati, certo, ma con una loro dignitosa, seppur polverosa, onestà. Ora, ci troviamo dinanzi a questo scintillante opuscolo digitale, questa “Guida ChatGPT per Insegnanti”, un titolo che da solo basterebbe a far impallidire l’intero pantheon della satira da Giovenale a Parini, passando per Gadda e Arbasino. Non un mero manuale, badate bene, ma un’epifania tecnologica, un “salva-vita” per un’intera categoria professionale, come se prima di questo eBook i docenti si aggirassero per le aule come spettri pirandelliani, incapaci di un pensiero autonomo.

Dall’incipit, si comprende subito la cifra stilistica e intellettuale dell’opera: “manuale pratico, diretto e subito applicabile”. Si intende, un prontuario per l’anima pigra, un surrogato di quella che un tempo era chiamata “esperienza”, quel fardello di fallimenti, intuizioni e fatiche che forgiava il pedagogo. Ora, la si comprime in un pacchetto di dati, promettendo un’efficacia che non è nemmeno figlia della fatica, ma di un’inerzia benedetta dall’algoritmo. L’ottimizzazione, questo mantra del XXI secolo, non si limita più alla logistica o alla produzione di viti e bulloni. No, ha fatto breccia nel santuario più sacro del pensiero: la didattica. L’insegnamento, un’arte che vive di inefficienze, di digressioni, di un caos controllato che è il vero humus della creatività, viene ridotto a un processo industriale. Si “ottimizza” il tempo, le risorse e i materiali, come se l’aula fosse una catena di montaggio e i ragazzi degli ingranaggi da lubrificare con “lezione interattive” e “schede didattiche” prodotte in serie. Che orrore.

La Guida, ci viene assicurato, si basa su “esperienza reale a scuola e su centinaia di ore di test”. Qui, il lettore avveduto, quello che si è formato sui saggi di Pirandello e Bateson sull’umorismo e la comunicazione umana, non può che cogliere il “sentimento del contrario”. La “realtà” di un’esperienza mediata e filtrata da un’Intelligenza Artificiale non è reale affatto; è una sua parodia, una simulazione grottesca. Si pensi a Gregory Bateson, che in L'umorismo nella comunicazione umana ci invitava a esplorare i paradossi che formano la materia prima del nostro comunicare, del nostro giocare con le parole e i significati. L’uso di un’intelligenza artificiale per “ottimizzare” la didattica non è gioco, è la sua negazione, è la standardizzazione del pensiero divergente, quel “pensiero divergente divertente” di cui si parla in DIDATTICA E UMORISMO. Si pretende di creare un’educazione “coinvolgente” e “creativa” con un dispositivo che per sua stessa natura tende al convergente, al prevedibile, al già detto. Il paradosso, signori, è così lampante da far quasi male. È come chiedere a un robot di dipingere un quadro umoristico: al massimo ne imiterà la tecnica, ma non capirà mai la contraddizione intrinseca, il “sentimento del contrario” che è alla base della vera arte.

Si prosegue con il più squallido degli slogan, quello che fa appello alla paura e alla stanchezza del precario, del disilluso: “anche senza competenze tecniche, con un linguaggio semplice e spiegazioni passo-passo”. Ah, la glorificazione dell’ignoranza! L’elogio dell’analfabetismo funzionale. Non è più necessario ludere et ledere, ovvero scherzare per colpire. Non è più richiesta l’acuminata intelligenza che distingue il comico dall’umoristico, l’ironico dal sarcastico. Qui si promette l’opposto: un’azione indolore, priva di sforzo, un’anestesia per il cervello. L’insegnante è invitato a diventare un semplice utente, un passivo recettore di schemi preconfezionati. Si svuota il ruolo di ogni responsabilità etica e intellettuale, in nome di una comodità che è solo una nuova forma di schiavitù, una dipendenza dal software.

E il culmine della menzogna, la vetta del nonsenso, è raggiunto con la promessa finale: “Non cambierà il tuo lavoro. Ma cambierà il modo in cui lo vivi.” È una frase degna di un guru da due soldi, un’insidia retorica che tenta di nobilitare la rinuncia. È l’apice della satira del successo, del successo inteso come efficientismo e apparenza. Si promette un’illusione: che tu possa mantenere il tuo lavoro in apparenza, mentre ne distruggi il nucleo più profondo. La guida non cambierà il lavoro perché lo depotenzia, lo spoglia della sua natura di relazione umana, di scontro dialettico, di quel faticoso e sublime atto di traduzione della conoscenza che è l’essenza stessa della didattica. Non lo cambia, lo annulla. E se si cambia il modo in cui lo si vive, beh, non sarà certo in meglio, ma in una sorta di quieta disperazione, una rassegnazione al fatto che l’unica via per sopravvivere è la delega al silicio.

In conclusione, questa “guida” non è un faro nella nebbia, ma una sirena che canta le lodi dell’oblio intellettuale. Non è un manuale, ma un epitaffio. L’autore sembra aver compreso l’unica lezione davvero importante del nostro tempo: la superficialità paga. E così, tra un “prompt pronto all’uso” e l’altro, si assiste alla definitiva mercificazione dell’educazione, ridotta a un prodotto da consumare in “10 minuti al giorno”. A noi, intellettuali stanchi e disillusi, non resta che l’unica arma rimasta: la risata amara. Quella che, come l’umorismo di Pirandello, scaturisce dalla consapevolezza del dramma, dalla visione lucida di una realtà che si decompone in una sua irrisoria caricatura. E il vero paradosso, amici miei, è che per sbeffeggiare questa Guida, ho dovuto usare anch’io l’Intelligenza Artificiale. Il serpente si morde la coda, l’ironia divora sé stessa. E noi, seduti in platea, non possiamo che ridere, o piangere. A voi la scelta.

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