Questo è davvero tosto…

Questo documento sintetizza i temi centrali e le argomentazioni del saggio “Dipende dalla classe” di Michele Arena. L’analisi rivela una tesi fondamentale: la classe sociale di appartenenza è il fattore determinante, sebbene spesso invisibile, che plasma le traiettorie educative e di vita degli studenti in Italia. L’autore sostiene che il sistema scolastico, pur proclamando ideali democratici, finisce per riprodurre e legittimare le disuguaglianze strutturali, mascherando il privilegio di classe dietro il velo della meritocrazia e della responsabilità individuale.

I punti salienti includono:

  • Il “Cavo” della Classe Sociale: Viene introdotta la metafora del “cavo”, una forza invisibile che trattiene gli studenti provenienti da contesti socio-economici svantaggiati, limitandone le opportunità e le aspirazioni.
  • Decostruzione del Merito: Il saggio critica aspramente il concetto di “merito” e di “impegno individuale” come narrazioni che colpevolizzano gli studenti per i loro insuccessi, ignorando gli ostacoli sistemici che affrontano. La povertà viene ridefinita non come una mancanza di risorse, ma come un’esperienza identitaria che genera vergogna e un senso di inferiorità.
  • Il Ruolo degli Educatori: Gli insegnanti e gli educatori sono posizionati in una “crepa”, tra la riproduzione dell’ideologia dominante e la possibilità di agire come agenti di resistenza. Viene sottolineato come la loro provenienza, prevalentemente dalla classe media, influenzi la loro percezione e interazione con gli studenti, introducendo il rischio di un “classismo benevolo”.
  • Proposte per una Scuola Anticlassista: L’autore avanza una serie di strategie per trasformare la scuola in un luogo di equità. Queste includono la necessità per i docenti di sviluppare una “chiarezza politica”, elaborare il proprio privilegio, condividere il potere in classe, ripensare la valutazione per ridurne la funzione punitiva e riconoscere i comportamenti problematici degli studenti come possibili atti di resistenza a un sistema oppressivo.

In sintesi, il saggio è un manifesto per una scuola che riconosca e affronti attivamente il classismo, trasformando problemi percepiti come individuali in una questione di responsabilità collettiva e giustizia sociale.

——————————————————————————–

1. La Classe Sociale come Fattore Determinante Invisibile

Il saggio di Michele Arena si fonda sull’argomentazione che la classe sociale è un “cavo trasparente” che esercita una tensione costante sulla vita dei bambini e degli adolescenti, condizionandone il percorso scolastico e le aspettative future. Questo concetto viene introdotto attraverso l’analisi del personaggio di Maeve nella serie TV Sex Education, la cui lotta individuale contro la povertà viene presentata come un’eccezione che conferma la regola meritocratica, nascondendo la natura sistemica del problema.

1.1. La Povertà come Esperienza Identitaria

L’autore, partendo dalla propria esperienza personale, descrive la povertà non solo come una carenza di risorse economiche, ma come una condizione che lascia “un ineliminabile sentimento di inferiorità” (citando Amartya Sen).

  • Segni Invisibili: La povertà modella il modo di muoversi, parlare e percepire lo sguardo altrui, portando con sé vissuti di dolore e violenza.
  • Sensazione di Colpevolezza: Viene evidenziata una costante sensazione di colpa che accompagna chi vive in povertà, rinforzata da istituzioni come la sanità o i servizi sociali, che spesso attribuiscono le difficoltà a errori individuali.
  • Correlazione tra Classe e Salute: Citando Pickett e Wilkinson, si afferma che il legame tra povertà e basse aspettative di vita non è più una semplice correlazione, ma una relazione di causa ed effetto. Chi ha solo la licenza media ha il 46% di possibilità in più di morire precocemente.
1.2. Il “Cavo” e la Gara Scolastica Truccata

La scuola viene descritta come una “gara” in cui la posizione di partenza è determinata dalla classe sociale.

  • Disparità di Opportunità: Secondo dati INAPP del 2021, un ragazzo in Italia con genitori poco istruiti (come Maeve) ha il 12% di possibilità di laurearsi, mentre uno con genitori laureati (come Otis) ha il 75%.
  • “Corsia Veloce” vs “Corsia Lenta”: Gli adolescenti di contesti difficili sono costretti a percorrere una “corsia veloce”, che li porta ad abbandonare precocemente gli studi o a trovare lavori a basso costo, mentre i coetanei privilegiati possono percorrere la “corsia lenta” dell’istruzione superiore.
2. Decostruzione del Mito della Meritocrazia

Il saggio attacca frontalmente la narrazione della meritocrazia, sostenendo che essa serva a “trasformare nell’immaginario comune questo privilegio di classe in qualcosa di più accettabile e misurabile: l’impegno”.

2.1. La Responsabilità Individuale come Alibi

La responsabilità del successo o dell’insuccesso scolastico viene sistematicamente attribuita al singolo studente, nascondendo le responsabilità collettive.

  • “Educationism”: Viene citata la ricerca “Educationism and the irony of meritocracy” per dimostrare come il pregiudizio verso le persone meno istruite sia considerato ancora socialmente accettabile tra le classi più colte.
  • Messaggi Istituzionali: La scelta del Ministero dell’Istruzione di aggiungere “Merito” al proprio nome e il discorso di Barack Obama del 2009 (“Non ci sono scuse per non provarci”) sono presentati come esempi di una narrazione colpevolizzante che ignora le circostanze strutturali.
  • Funzione Rassicurante: Narrazioni come quella di Maeve, l’adolescente povera che si riscatta con lo studio, agiscono come una “benzodiazepina per il senso di colpa collettivo delle classi privilegiate”, rafforzando la “credenza in un mondo giusto” (teoria di Melvin Lerner).
2.2. “Povertà Educativa”: Una Critica al Concetto

L’espressione “povertà educativa” viene analizzata criticamente. Sebbene nata con l’intento di ampliare il concetto di povertà, secondo l’autore e il sociologo Giovanni Battista Sgritta, essa rischia di:

  • Confondere le Cause: Mescolare la povertà economica con altri bisogni, dimenticando che la radice comune è quasi sempre la mancanza di risorse economiche.
  • Colpevolizzare le Famiglie: Spostare l’attenzione “dalla società alla gente”, suggerendo che la povertà risieda nelle famiglie (poche aspirazioni, pochi stimoli culturali) piuttosto che nelle strutture sociali.
  • Interventi Superficiali: I progetti di contrasto si concentrano spesso su opportunità temporanee (campus, gite) invece di affrontare questioni strutturali.
2.3. Segregazione Scolastica e Orientamento di Classe

La scelta della scuola superiore non è un atto libero, ma un meccanismo di segregazione che cristallizza le disuguaglianze. I dati mostrano una netta divisione:

Tipo di IstitutoStudenti con DisabilitàStudenti con Cittadinanza Non ItalianaProvenienza da Classe Lavoratrice Esecutiva (Diplomati)
Licei1,4%5,3%16,4% (Liceo Classico)
Istituti Professionali7,7%13,7%13,9% provengono da classe elevata (dato inverso)
Formazione Regionale28,4%
  • Orientamento Condizionato: La scelta è influenzata da status sociale, genere e provenienza. A parità di risultati, uno studente di status elevato sceglie più facilmente il liceo.
  • “Scuole di Serie B”: Gli istituti professionali sono percepiti come scuole di minor valore, ricevono meno offerte culturali e presentano un turnover di docenti altissimo (fino al 75%), segnalando che sono meno ambiti anche dal corpo insegnante.
3. Il Ruolo dell’Insegnante: Potere e Classismo Interiorizzato

Il saggio dedica un’ampia riflessione alla figura del docente, posizionato “nella crepa” tra la riproduzione del sistema e la possibilità di resistere ad esso.

3.1. La Lente della Classe Sociale

Gli insegnanti non sono neutrali; la loro classe sociale di provenienza è la “lente con cui guardiamo il mondo”.

  • Composizione del Corpo Docente: Si ipotizza che la maggior parte degli insegnanti italiani provenga dalla classe media, poiché per insegnare è necessaria una laurea, un traguardo più accessibile per chi ha un certo capitale culturale ed economico.
  • Classismo Interiorizzato: Anche senza intenzioni ostili, i docenti possono agire un “classismo benevolo”, attribuendo inclinazioni e capacità diverse in base alla classe sociale. Ad esempio, orientando studenti di contesti poveri verso percorsi pratici e manuali perché ritenuti “più adatti” o “meno difficili”.
  • “Circolo della Paura”: Il rifiuto di aiuto da parte di famiglie marginalizzate (come nel caso di Nevila) non è irrazionale, ma una difesa contro istituzioni percepite come replicatrici di discriminazioni.
3.2. Dinamiche di Potere in Aula

La relazione educativa è intrinsecamente sbilanciata. L’adulto ha il potere di “far valere la propria volontà anche di fronte a un’opposizione” (Weber).

  • Controllo e Oppressione: Il potere del docente si manifesta nel controllo sui voti, sul tempo di parola (circa il 70% è detenuto dal docente), sulle regole e sulle sanzioni. Questo potere, se non gestito con consapevolezza, trasforma i pregiudizi in oppressione.
  • Valutazione come Potere: La valutazione è descritta come “una forma di gestione del potere” (Cristiano Corsini). Può essere monarchica (il docente decide tutto) o democratica (gli studenti sono coinvolti). Un voto basso può essere percepito come un atto di discriminazione da uno studente che si sente già marginalizzato.
  • Dolore e Fuga: Citando le ricerche della neuroscienziata Daniela Lucangeli, si evidenzia come l’associazione tra apprendimento ed emozioni negative (paura, ansia, vergogna) porti a un meccanismo di autodifesa che si manifesta come “fuga dall’apprendimento”.
4. Verso una Pedagogia Anticlassista: Strategie Operative

L’ultima parte del saggio propone un cambiamento radicale, inteso come un ritorno “alla radice delle cose”, per trasformare la classe in un luogo di lotta e resistenza.

4.1. Sviluppare “Chiarezza Politica”

Il primo passo per i docenti è diventare consapevoli del proprio posizionamento.

  • Elaborare il Privilegio: Si propone un percorso di auto-analisi per riconoscere i propri privilegi di classe, cittadinanza, etnia, etc., e comprendere come questi influenzino la pratica didattica.
  • Portare il Privilegio in Classe: Si suggeriscono attività, come un “gioco di ruolo” basato sulla “ruota del privilegio”, per rendere visibili le dinamiche di potere e discutere collettivamente come rendere il “gioco scuola” più equo.
  • Cambiare il Linguaggio: Abbandonare termini come “povertà educativa” in favore di “discriminazione” e “merito” in favore di “privilegio”, per spostare il focus dal deficit individuale all’ingiustizia sistemica.
4.2. Condividere il Potere e Creare Spazi Sicuri

Per costruire una classe equa è necessario cedere potere.

  • Dall’Educazione del Controllo a quella della Fiducia: Mettere in discussione regole autoritarie (es. chiedere il permesso per andare in bagno) e cedere agli studenti parte del controllo sulla gestione della classe, sulla didattica e sulla valutazione.
  • “Educazione Debole”: Citando Tim Ingold, si promuove un’educazione che sia “esposizione, non immunità”, in cui l’adulto si spoglia della sua armatura di potere e va incontro al mondo e agli studenti a braccia aperte, diventando a sua volta discente.
  • Riconoscere gli Atti di Resistenza: Interpretare comportamenti come assenze, mutismo o disinteresse non solo come “disagio”, ma come possibili forme di resistenza a un sistema percepito come oppressivo.
4.3. Redistribuire il Sapere e Fare Comunità

L’atto educativo finale è trasformare la responsabilità da individuale a collettiva.

  • Responsabilità Collettiva: Di fronte a un insuccesso, la domanda da porsi non è “come può Ahmed migliorare?”, ma “in che modo lavoriamo collettivamente per portare tutti allo stesso punto?”.
  • Sostenere le Voci degli Studenti: Creare spazi in cui gli studenti possano raccontarsi e definirsi, contrastando le narrazioni esterne che li etichettano. La scrittura e l’espressione personale diventano atti politici di restituzione di identità.
  • Comunità tra Docenti: Si sottolinea l’importanza di superare l’isolamento professionale, condividendo pratiche, fallimenti e successi. Vengono proposti strumenti come l’équipe educativa e la supervisione per sostenere il benessere dei docenti e creare coerenza pedagogica.
Conclusione: Il Costo Emotivo del Merito

La sezione finale, “Me lo merito?”, riflette sul costo psicologico della mobilità sociale. L’autore sostiene che la retorica del successo scolastico come riscatto di classe costringe chi “ce la fa” a recidere le proprie radici, generando una tensione con le famiglie di origine che vengono implicitamente giudicate come fallimentari. Cambiare la scuola significa creare le condizioni affinché gli studenti possano avere successo senza dover rinnegare la propria storia, trasformando la “melanconia di classe” in un pensiero politico collettivo e la classe scolastica in un luogo di autentica liberazione.

Lascia un commento