
Epistemologia critica e trasformazione digitale dell’istruzione: l’analisi di Marco Guastavigna sull’intelligenza artificiale e la sovranità cognitiva
L’opera di Marco Guastavigna si situa all’intersezione tra la sociologia critica, la pedagogia dei media e la pratica didattica militante, delineando un percorso intellettuale che, dai primi anni Ottanta, interroga incessantemente il ruolo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) all’interno delle istituzioni scolastiche.[1, 2] La sua riflessione non si limita all’efficacia strumentale dei dispositivi digitali, ma si estende alla decostruzione dei rapporti di potere, delle logiche economiche e dei paradigmi epistemologici che sottendono l’attuale spinta verso l’automazione dell’apprendimento.[2, 3] Attraverso una produzione saggistica e giornalistica pluridecennale, Guastavigna ha sviluppato una critica radicale al cosiddetto “digitale”, termine che egli identifica come uno pseudo-concetto utile a mascherare l’avanzata del tecno-liberismo educativo e del capitalismo estrattivo nelle aule.[2, 4] L’avvento dell’intelligenza artificiale (IA), e in particolare dei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), rappresenta l’ultimo stadio di questo processo, che l’autore analizza non come un progresso lineare, ma come una sfida alla comprensione umana e alla sovranità della conoscenza.[2, 5]
L’evoluzione storica della competenza tecnologica e la professionalità docente
La traiettoria professionale di Marco Guastavigna offre uno spaccato significativo della storia dell’informatica scolastica in Italia. Già docente di materie letterarie e formatore esperto, il suo impegno inizia in una fase in cui il computer veniva percepito come uno strumento di emancipazione e di potenziamento delle capacità logico-linguistiche.[1] La sua formazione specialistica, culminata nel 1995 con il perfezionamento presso l’Università “La Sapienza” di Roma in “Insegnare con il computer”, si è innestata su un’intensa attività di ricerca-azione condotta nell’ambito del Centro Iniziativa Democratica Insegnanti (CIDI) e degli Istituti Regionali di Ricerca Sperimentazione e Aggiornamento Educativi (IRRSAE).[1] In quegli anni, Guastavigna esplorava l’uso della videoscrittura come risorsa per il recupero e il potenziamento delle capacità di scrittura, un approccio che già allora rifiutava l’addestramento tecnico a favore di una riflessione sui processi cognitivi.[1]
L’analisi della cronologia formativa di Guastavigna permette di identificare il passaggio da un’informatica “artigianale” e pedagogicamente orientata a un modello dominato dalle grandi corporation. Se negli anni Novanta la sperimentazione riguardava la “scuola del villaggio globale” e la comunicazione animata, a partire dal 2000 la riflessione si sposta sulla distinzione tra strumenti “meccanici” e “intelligenti”, anticipando il dibattito contemporaneo sull’autonomia dei dispositivi.[1] Questa evoluzione è documentata da una serie di contributi pubblicati su riviste di settore come “Insegnare” e “Italiano&Oltre”, dove l’autore ha iniziato a problematizzare il rapporto tra competenze tecnologiche e professionalità docente, evidenziando il rischio che l’innovazione tecnologica diventi un fine in sé anziché un mezzo per l’arricchimento degli apprendimenti.[1, 4]
Cronologia delle esperienze formative e di ricerca-azione (1985-2000)
| Periodo | Istituzione / Ente | Ambito di Intervento e Ricerca | Risultato / Pubblicazione Correlata |
| 1985-1986 | CIDI Torino e Triveneto | Informatica e didattica: primi approcci strumentali [1] | Prime riflessioni sull’uso dei microcomputer in aula. |
| 1988 | IROE-CNR Firenze | Primo convegno nazionale “Informatica, Didattica e Disabilità” [1] | Definizione delle tecnologie assistive come potenziamento cognitivo. |
| 1991-1994 | IRRSAE Piemonte | Progetto “Utilizzo del computer per il recupero della scrittura” [1] | Documentazione su videoscrittura e processi metacognitivi. |
| 1995 | Univ. “La Sapienza” Roma | Diploma di specializzazione: Elementi di informatica pratica [1] | Consolidamento delle basi tecniche per la formazione docenti. |
| 1996-2000 | MCE / IRRSAE | Tecnologie di comunicazione e contesti formativi [1] | Stage “Meccanico o intelligente?”: avvio della critica all’automazione. |
La professionalità docente, nell’ottica di Guastavigna, non deve risolversi nell’acquisizione di abilità operative, ma deve fondarsi su un “presidio del senso critico” capace di orientare l’uso dei dispositivi verso scopi educativi autentici.[2, 4] Questa posizione lo porta a criticare apertamente i modelli di certificazione standardizzata, come l’ECDL, suggerendo invece un approccio basato sulla progettazione didattica consapevole e sull’assistenza tra pari.[6] La sua rubrica “TIC nella didattica” su PavoneRisorse, attiva dal 1999, testimonia questo sforzo costante di mediare tra la fascinazione per il nuovo e la necessità di mantenere saldo l’obiettivo della condivisione della conoscenza e dello sviluppo del pensiero critico collettivo.[1, 7]
La decostruzione del “Digitale” come ideologia tecno-liberista
Uno dei contributi più originali e dirompenti di Guastavigna riguarda la critica lessicale e concettuale del termine “digitale”.[2] Egli sostiene che l’uso dell’aggettivo sostantivato “Il Digitale” rappresenti uno pseudo-concetto, ovvero una categoria semantica priva di un referente univoco, che serve a nascondere la complessità delle infrastrutture tecniche e degli interessi economici sottostanti.[2] Questa operazione linguistica è funzionale al marketing concettuale delle grandi multinazionali, che presentano l’innovazione tecnologica come un processo naturale e ineluttabile, sottraendola alla discussione politica e pedagogica.[2, 4]
Guastavigna identifica in questa deriva il trionfo del “tecno-liberismo educativo”, un’ideologia che impone alla scuola un modello di adattamento passivo a standard tecnologici definiti esternamente.[2] Tale modello si articola attraverso quello che egli definisce “Darwinismo Digitale”, ovvero una visione competitiva e utilitaristica della formazione dove l’individuo deve costantemente aggiornare le proprie competenze tecniche per non essere escluso dal mercato, indipendentemente dal valore culturale di tali competenze.[2] L’innovazione cessa di essere un miglioramento delle pratiche d’aula per diventare un “percorso obbligato” di adesione a un pensiero unico pedagogico, spesso veicolato da anglismi vuoti e slogan promozionali.[2, 4]
La triade della deriva demagogica nell’innovazione tecnologica
Per comprendere l’impianto critico di Guastavigna, è necessario analizzare come la scuola sia diventata terreno di conquista per dinamiche estranee alla sua missione costituzionale. L’autore delinea tre fenomeni interconnessi che caratterizzano l’attuale fase di digitalizzazione:
1. Pensiero Pedagogico Unico: Si assiste all’omologazione delle metodologie didattiche verso modelli che privilegiano la performance immediata e la facilitazione tecnologica, a scapito della profondità dei contenuti e della complessità del pensiero.[2] La tecnologia non è più al servizio della disciplina, ma la disciplina viene rimodellata per adattarsi alle possibilità del software.[3]
2. Marketing Concettuale: La scuola è invasa da terminologie mutuate dal mondo aziendale e dalla Silicon Valley. Concetti come “nativi digitali”, “innovazione” e “competenze del XXI secolo” agiscono come strumenti di pressione retorica che silenziano il dissenso e impongono un’agenda politica basata sulla spesa infrastrutturale piuttosto che sull’investimento nel personale.[2, 8]
3. Logistica della Conoscenza: La gestione del sapere viene delegata a piattaforme proprietarie che operano secondo logiche di profitto e di estrazione di dati. In questo contesto, l’insegnante rischia di trasformarsi in un erogatore di contenuti predefiniti, mentre lo studente diventa un utente-consumatore monitorato costantemente da algoritmi di sorveglianza.[2, 4]
Questa analisi porta Guastavigna a definirsi un “ricercatore inopportuno”, poiché la sua critica colpisce direttamente i centri di potere che gestiscono la digitalizzazione scolastica, denunciando la collusione tra accademia, enti di formazione e interessi industriali.[2] La sua proposta è quella di un “posizionamento militante” che fornisca agli insegnanti gli strumenti per una resistenza attiva, basata sulla consapevolezza delle strutture di produzione del sapere e sulla rivendicazione di un’autonomia intellettuale libera dall’opportunismo tecnologico.[2, 4]
L’Intelligenza Artificiale come simulazione e comunicazione artificiale
Con l’irruzione massiccia dell’intelligenza artificiale generativa nel dibattito pubblico, Guastavigna ha ulteriormente affinato la sua critica, ponendo l’accento sulla natura intrinsecamente non-intelligente di questi dispositivi.[2, 5] Egli contesta radicalmente l’uso del termine “intelligenza”, preferendo parlare di “comunicazione artificiale”.[2, 9] Basandosi sulla distinzione proposta da Elena Esposito e Simone Natale, Guastavigna chiarisce che l’IA non comprende il significato dei testi che produce, ma opera attraverso la ricerca di regolarità statistiche in enormi masse di dati (BigCorpora).[2, 9]
L’essenza dell’IA risiede nel fatto che essa “impara senza bisogno di comprensione”.[5] Questa caratteristica, che potrebbe apparire come un limite tecnico, è in realtà la chiave del suo successo economico e della sua pericolosità epistemologica: la macchina fornisce esiti plausibili e linguisticamente corretti simulando un’interazione umana, ma il processo che porta a tali esiti è una “black box” opaca, priva di intenzionalità e di trasparenza metodologica.[2, 3] Per Guastavigna, questa opacità è il contrario della conoscenza scientifica, che deve essere sempre una “scatola aperta”, verificabile e discutibile.[2]
Confronto tra Intelligenza Umana e Computazione Algoritmica
| Dimensione | Intelligenza Umana (Qualitativa) | Computazione Algoritmica (IA / LLM) |
| Meccanismo di funzionamento | Comprensione semantica, intenzione, contesto sociale e storico.[3, 9] | Correlazione statistica, previsione del token successivo, pattern matching.[2, 9] |
| Trasparenza | Percorso logico-deduttivo esplicitabile e verificabile (“Scatola Aperta”).[2] | Risultato di miliardi di parametri neurali inaccessibili (“Scatola Nera”).[2] |
| Obiettivo della produzione | Creazione di senso, espressione di un sé, responsabilità autoriale.[2] | Generazione di output plausibili basati sulla probabilità statistica.[3, 4] |
| Rapporto con il dato | Esperienza vissuta e sintesi critica di informazioni limitate.[2] | Elaborazione massiva di BigCorpora estratti dal web (spesso senza consenso).[2] |
Questa distinzione ha implicazioni profonde per la didattica. Se la scuola confonde la computazione con l’intelligenza, rischia di premiare la capacità degli studenti di manipolare prompt per ottenere risultati standardizzati, piuttosto che la loro capacità di pensare criticamente.[4, 9] Guastavigna mette in guardia contro la “redazione artificiale”, un fenomeno in cui l’uso di LLM per la produzione di testi porta a una banalizzazione dei contenuti e a un apprendimento meccanico, trasformando l’atto creativo in una taskificazione di micro-compiti automatizzati.[4, 10]
La “Social History” dell’IA e l’estrattivismo cognitivo
Nella sua analisi, Guastavigna non trascura la dimensione storica e materiale dell’intelligenza artificiale. Richiamando l’opera di Matteo Pasquinelli, “L’occhio del maestro”, egli inserisce l’IA in una “storia sociale” che vede nella tecnologia lo strumento per la cattura della conoscenza umana a fini di profitto.[3] L’IA non è un’entità astratta che cade dal cielo, ma il risultato di un processo di accumulazione di lavoro intellettuale che viene poi automatizzato e rivenduto sotto forma di servizio.[3, 11]
Cinque punti fondamentali emergono da questa critica:
1. Cattura della Conoscenza: L’IA si nutre del linguaggio naturale prodotto dagli esseri umani, trasformandolo in una risorsa economica di mercato.[3]
2. Bias e Pregiudizi: Essendo addestrate su dati storici, le macchine riproducono e amplificano le attitudini e le discriminazioni presenti nella società, presentando però i risultati come oggettivi o “scientifici”.[3]
3. Il Prosumer Scolastico: L’insinuarsi dell’IA nei software di uso quotidiano (come Microsoft Copilot) trasforma il docente e lo studente in “prosumer”, soggetti che mentre utilizzano lo strumento lo addestrano gratuitamente, alimentando l’oligopolio delle Big Tech.[3, 11]
4. Costi Occulti: Guastavigna sottolinea la materialità dell’IA, parlando dei costi ecologici (consumo massiccio di energia e acqua per i data center), della violazione sistematica dei diritti d’autore e dell’estrazione di dati personali.[11]
5. Rovesciamento del Paradigma di Ricerca: Strumenti come Perplexity AI cambiano il modo in cui cerchiamo informazioni, offrendo risposte sintetiche che scoraggiano l’approfondimento e la navigazione tra le fonti, orientando l’utente verso un consumo di informazioni finalizzato al mercato piuttosto che alla conoscenza accademica.[3]
Questa visione smitizza l’idea di un’IA “creativa” e ne rivela la natura di dispositivo estrattivo. La produzione di immagini o testi tramite algoritmi viene definita “autorialità ibrida”, ma Guastavigna avverte che tale ibridazione è accettabile solo se la responsabilità decisionale e la trasparenza del processo rimangono saldamente nelle mani dell’intelligenza umana.[2] Senza questo controllo, l’uso dell’IA nella scuola diventa una “tecnologia scompensativa”, che confonde la semplificazione con la banalizzazione e danneggia lo sviluppo delle facoltà cognitive superiori.[4]
Strategie di resistenza e mediazione didattica: le mappe e il software locale
Di fronte alla deriva dell’automazione, Guastavigna propone una pedagogia basata sulla “sovranità digitale” e sulla “mediazione consapevole”.[4, 12] Un elemento centrale di questa proposta è l’uso di strategie logico-visive, in particolare le mappe concettuali, mentali e degli argomenti.[1, 4] Per l’autore, la mappa non è un semplice schema riassuntivo, ma uno strumento di “estensione cognitiva” che richiede un impegno attivo del soggetto nel dare forma e struttura al proprio sapere.[4, 9]
A differenza delle mappe generate automaticamente dall’IA, che sono prodotti preconfezionati e spesso superficiali, la costruzione di una mappa concettuale costringe lo studente a operare selezioni, a stabilire gerarchie e a esplicitare relazioni logiche.[4] Questo processo è fondamentale per trasformare l’overload informativo in conoscenza organizzata.[3] Guastavigna distingue chiaramente tra la facilitazione operativa potente dell’IA e la reale mediazione didattica, che deve sempre mirare al potenziamento delle capacità individuali piuttosto che alla loro sostituzione.[4, 9]
Modello di integrazione critica delle tecnologie (Metodologia Guastavigna)
Per evitare che l’informatica a scuola si riduca a “addestramento alla sottomissione”, Guastavigna propone un protocollo per ogni esperienza formativa con le TIC:
• Apertura Intellettuale: L’attività deve iniziare con una discussione sui sensi, gli scopi e il rapporto con il contesto, mettendo in discussione lo strumento prima ancora di usarlo.[3, 6]
• Esplorazione Analitica: Studio delle potenzialità del modulo di lavoro in relazione agli obiettivi disciplinari, non come funzione isolata.[6]
• Esercitazione Tecnica: Fase operativa necessaria ma subordinata alla comprensione concettuale.[6]
• Progettazione e Adattamento: Lo studente deve essere in grado di modificare e adattare le attività, dimostrando consapevolezza dei limiti e delle possibilità del mezzo.[6]
• Tutoraggio e Condivisione: L’apprendimento deve avvenire in un contesto sociale di assistenza reciproca, contro l’isolamento dell’interazione uomo-macchina.[6]
In coerenza con questo modello, l’autore promuove l’adozione di software “sobri” e locali. Nel corso di aggiornamento del 2025 per il personale scolastico, Guastavigna ha presentato l’uso di modelli linguistici eseguiti in locale (come Jan.AI) e di motori di ricerca non profilanti (come Duck.ai e Perplexica), sottolineando l’importanza di non inviare dati sensibili a server remoti e di mantenere il controllo tecnico sull’infrastruttura.[12] L’invito è a “decolonizzare” l’approccio ai dispositivi digitali, preferendo strumenti aperti e “conviviali” che permettano una navigazione anonima e un’analisi critica dei modelli.[11, 12]
Critica alle Linee Guida Ministeriali e ai “Predatori della Scuola Sperduta”
L’analisi di Guastavigna si estende anche alle politiche educative istituzionali, con particolare riferimento al PNRR e alle linee guida ministeriali sull’intelligenza artificiale.[12] Egli definisce ironicamente questi interventi come l’opera dei “predatori della scuola sperduta”, denunciando una visione della scuola come “catena di montaggio” finalizzata alla creazione di capitale umano precario per il mercato digitale.[12]
Le critiche principali rivolte ai documenti istituzionali riguardano:
• L’assenza di analisi critica: Le linee guida tendono a presentare l’IA come una risorsa puramente positiva, ignorando i bias, i costi ecologici e le problematiche legate alla proprietà intellettuale.[11, 12]
• L’enfasi sul Prompt Engineering: Guastavigna critica la riduzione della formazione a “micro-formazione al prompt engineering”, intesa come insieme di virtuosismi tecnici per ottenere risultati da una macchina opaca. Egli propone invece la “metalettura” e la decostruzione delle formulazioni per capire come l’output sia condizionato dall’input e dall’addestramento del modello.[9, 12]
• La confusione tra strumenti compensativi e dispensativi: Nella scuola italiana, la tecnologia viene spesso usata per “dispensare” lo studente dallo sforzo cognitivo invece di “compensare” reali difficoltà. Questo porta a una semplificazione che diventa banalizzazione, svuotando di senso la valutazione scolastica.[4]
Guastavigna rivendica una scuola che sia una “Repubblica fondata sul lavoro”, non sul lavoro precario e dequalificato imposto dalle piattaforme, ma sul lavoro intellettuale libero e consapevole.[12] La sua partecipazione a convegni come quello del CESP (Centro Studi per la Scuola Pubblica) mira a fornire al personale scolastico uno sguardo critico che vada oltre la “retorica dell’innovazione” e il “marketing della digitalizzazione subordinata”.[10, 12]
La “Comprensione SobrIA” e la sovranità cognitiva nell’era dei chatbot
Il concetto di “comprensione sobrIA” sintetizza l’approccio di Guastavigna all’IA generativa: un invito a mantenere la sobrietà intellettuale di fronte alle mirabolanti promesse del marketing tecnologico.[9] Per l’autore, navigare nell’era dell’IA richiede di definire con precisione i “concetti organizzatori” e di analizzare gli apparati tecnici come prodotti sociali e storici, non come entità mistiche.[9]
L’overload informativo prodotto dalla facilità di generazione di contenuti digitali richiede un rafforzamento delle capacità di analisi dei testi e delle fonti. Guastavigna suggerisce che l’efficacia dell’apprendimento non si misuri con la velocità della risposta, ma con la capacità di porre le domande giuste e di verificare la solidità dei riferimenti.[3, 8] In questo senso, la ricerca su Internet deve trasformarsi in un’indagine sul “chi”, “come” e “perché” un’informazione sia stata pubblicata, recuperando la saggezza digitale teorizzata da Prensky ma depurandola dalle sue derive commerciali.[8]
Analisi degli strumenti e delle risorse per una didattica alternativa
| Strumento / Risorsa | Utilizzo Proposto da Guastavigna | Vantaggio Rispetto ai Modelli Cloud |
| Jan.AI / Local LLM | Esecuzione di modelli linguistici sul proprio hardware.[12] | Privacy dei dati, sovranità digitale, comprensione dei limiti della macchina. |
| Duck.ai / DuckDuckGo | Ricerca di informazioni senza profilazione e tracciamento.[12] | Protezione contro il capitalismo di sorveglianza e le “bolle” informative. |
| Perplexica | Applicativo aperto di ricerca approfondita (alternativa a Perplexity).[12] | Trasparenza del processo di reperimento delle fonti e assenza di lock-in commerciale. |
| LibreOffice Extensions | Adattamento del testo e produzione di immagini in contesti aperti.[12] | Integrazione dell’IA in flussi di lavoro non proprietari e cooperativi. |
| Mappe Concettuali | Organizzazione manuale o semi-assistita della conoscenza.[1] | Preservazione della fatica cognitiva e della sintesi originale dello studente. |
Questi strumenti rappresentano una “via d’uscita” concreta dall’oligopolio delle corporation, permettendo alla scuola di sperimentare l’IA in modo “anarchico e conviviale”.[11] La sfida non è rifiutare la tecnologia, ma “decolonizzarla”, riportandola sotto il controllo della comunità educante e utilizzandola per espandere, e non per restringere, la libertà di pensiero.[11, 12]
Conclusioni: Verso una pedagogia della computazione consapevole
In sintesi, il contributo di Marco Guastavigna alla riflessione sull’intelligenza artificiale e la scuola si caratterizza per una coerenza metodologica che unisce l’analisi sociologica alla pratica d’aula. Egli ci ricorda che “fatti non fummo a viver come bit”, ammonendo contro una visione dell’istruzione che riduca l’essere umano a un nodo di una rete di dati.[5] L’IA, intesa come simulatore statistico, può essere una “facilitazione potente”, ma solo se inserita in un quadro pedagogico che ne riconosca la natura di “comunicazione artificiale” e ne limiti i rischi di scompensazione cognitiva.[2, 4, 9]
La sua opera invita i docenti a non lasciarsi sedurre dal “marketing della modernità” e a mantenere vivo il conflitto salutare tra la logica della macchina e la complessità dell’umano. La vera innovazione nella scuola non consiste nell’adottare l’ultimo chatbot, ma nel formare cittadini capaci di interrogare la tecnica, di difendere la propria privacy e di costruire una conoscenza che sia, citando lo stesso Guastavigna, “sobria, aperta, locale e non estrattiva”.[11, 12] Solo attraverso questo “giro di orientamento” critico, la tecnologia potrà smettere di essere un dispositivo di subordinazione per diventare uno strumento di emancipazione collettiva.[3, 10]
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1. NOIOSITO| Curriculum di Marco Guastavigna, https://www.noiosito.it/
2. Presentazione dell’autore – Concetti Contrastivi, https://concetticontrastivi.org/2025/11/15/presentazione-dellautore/
3. INTELLIGENZA ARTIFICIALE E SCUOLA. INCONTRO CON MARCO GUASTAVIGNA, https://www.youtube.com/watch?v=lCQnWfgmqjA
4. sopravvivere al 2.0 :: Insegnare – Rivista del Centro di Iniziativa …, https://www.insegnareonline.com/istanze/tecnologi-scuola
5. Marco Guastavigna – Associazione Dschola, https://www.associazionedschola.it/blog/author/mguasta/
6. Ancora su competenze tecnologiche e professionalità docente, di Marco Guastavigna, https://www.noiosito.it/ctpd2.htm
7. TIC nella didattica – rubrica di Marco Guastavigna – PavoneRisorse.it, https://www.pavonerisorse.it/pstd/
8. Per quali motivi le TIC possono essere formative a scuola? – di Marco Guastavigna, https://www.noiosito.it/vilglob.htm
9. Paralipomeni di una formazione sull’IA – La ricerca, https://laricerca.loescher.it/paralipomeni-di-una-formazione-sullia/
10. MARCO GUASTAVIGNA Contro la deriva della … – Alerino.blog, https://alerino.blog/2024/11/09/marco-guastavigna-contro-la-deriva-della-digitalizzazione-subordinata-e-subordinante/
11. Conversazione del Lunedì con Marco Guastavigna – YouTube, https://www.youtube.com/watch?v=1azVRrrsaco
12. Corso di aggiornamento per tutto il personale scolastico …, https://cesp-cobas-veneto.eu/2025/11/21/corso-di-aggiornamento-per-tutto-il-personale-scolastico-intelligenza-artificiale-e-scuola-uno-sguardo-critico-alla-luce-delle-linee-guida-ministeriali/
Critica radicale e riflessioni sulle tecnologie nell’istruzione
I testi presentano la figura di Marco Guastavigna, un esperto di tecnologie didattiche e formatore che analizza criticamente l’impatto del digitale nel mondo dell’istruzione. Attraverso trascrizioni di convegni e un vasto elenco di pubblicazioni, emerge una riflessione profonda che va oltre il semplice utilizzo degli strumenti tecnici. Guastavigna distingue tra dispositivi estrattivi, orientati al profitto e alla cattura del sapere, e strumenti conviviali, volti alla condivisione aperta della conoscenza. Egli mette in guardia contro la retorica del marketing legata all’intelligenza artificiale generativa, sottolineando come essa produca spesso esiti plausibili ma privi di reale consapevolezza semantica. Il suo obiettivo è promuovere un’emancipazione culturale dei docenti e dei cittadini, invitandoli a sviluppare un lessico critico e analitico per non subire passivamente le logiche dell’oligopolio tecnologico. Il curriculum documenta infine decenni di impegno nella promozione di metodologie didattiche innovative, come le mappe concettuali e la scrittura assistita.
Quali competenze critiche sono necessarie per esercitare una supervisione cognitiva consapevole sulle tecnologie attuali?
L’esercizio di una supervisione cognitiva consapevole sui dispositivi tecnologici attuali, in particolare sull’intelligenza artificiale generativa e i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), richiede lo sviluppo di un complesso sistema di competenze critiche che trascendono il mero addestramento tecnico. Secondo l’analisi di Marco Guastavigna, tali competenze si articolano su piani epistemologici, linguistici, politici e operativi, necessari per evitare la subordinazione all’automazione e mantenere la sovranità intellettuale.
Comprensione della natura epistemologica dei dispositivi
La competenza fondamentale risiede nella capacità di definire correttamente l’oggetto tecnologico con cui si interagisce, rifiutando definizioni antropomorfiche o magiche.
• Riconoscimento della natura statistico-predittiva: È necessario comprendere che i dispositivi attuali sono macchine “statistico-predittive” o “statistico-deduttive” fondate su modelli induttivi,. Essi non possiedono intelligenza, coscienza o capacità di comprensione semantica, ma operano calcolando la probabilità di associazione tra token (unità di testo) basandosi su enormi quantità di dati (BigCorpora),.
• Distinzione tra esiti e processi: La supervisione richiede la consapevolezza che l’IA simula esiti plausibili senza replicare i processi cognitivi umani. Si tratta di una forma di “comunicazione artificiale” che apprende senza comprendere,. L’utente deve saper distinguere la verosimiglianza linguistica dalla verità fattuale e dalla coerenza logica.
• Consapevolezza dell’opacità (Black Box): A differenza della conoscenza scientifica, che deve essere trasparente e verificabile (“scatola aperta”), i dispositivi proprietari operano come “scatole nere”, rendendo oscuri i passaggi che portano a un determinato risultato,. La competenza critica implica il non accettare l’output come oggettivo, riconoscendo l’impossibilità di ricostruire interamente il processo generativo.
Competenze linguistico-semantiche e “Metalettura”
L’interazione con i dispositivi generativi sposta l’asse della competenza dalla scrittura alla formulazione di interrogazioni e all’analisi delle risposte.
• Metalettura e Decostruzione: Più che il “prompt engineering” inteso come tecnicismo, è richiesta una competenza di “metalettura”,. Questa abilità consiste nel decostruire le formulazioni della macchina per comprendere come l’output sia condizionato dall’input e dall’addestramento del modello, analizzando la struttura della risposta per individuarne i limiti.
• Gestione dell’autorialità ibrida: L’utente deve esercitare una responsabilità autoriale completa anche quando utilizza l’assistenza della macchina. Questo concetto, definito “autorialità ibrida”, è accettabile solo se la decisione finale, la verifica e l’attribuzione di senso rimangono saldamente sotto il controllo umano.
• Riconoscimento dei Bias e della “Moda Statistica”: Poiché i modelli sono addestrati su dati storici presenti in rete, essi tendono a riprodurre pregiudizi (bias) e a fornire risposte allineate alla “moda statistica” (la curva gaussiana), ovvero le opinioni più diffuse e convenzionali,. La supervisione cognitiva deve saper identificare e neutralizzare tali distorsioni, incluse quelle culturali che privilegiano una visione occidentale o anglocentrica.
Consapevolezza politica e logistica (“Sobrietà”)
Una supervisione efficace non può prescindere dalla comprensione del contesto economico e materiale in cui i dispositivi operano. Guastavigna definisce questo approccio “comprensione sobrIA”.
• Distinzione tra dispositivi estrattivi e conviviali: È cruciale saper distinguere tra dispositivi “estrattivi” (vocati al profitto, alla profilazione dell’utente e all’accumulo di dati per le grandi corporation) e dispositivi “conviviali” (vocati alla condivisione della conoscenza, al mutualismo e al software libero),,. La competenza risiede nel privilegiare, ove possibile, soluzioni che garantiscano la sovranità dei dati e l’anonimato.
• Analisi della “Logistica della Conoscenza”: Bisogna riconoscere che l’IA attuale è uno strumento di cattura della conoscenza umana (e del lavoro intellettuale) trasformata in risorsa di mercato,. L’utente competente è consapevole di agire spesso come “prosumer” che addestra gratuitamente gli algoritmi mentre li utilizza,.
• Valutazione dell’impatto materiale: La supervisione consapevole include la considerazione dei costi occulti, quali l’enorme consumo energetico e idrico dei data center e lo sfruttamento del micro-lavoro (es. etichettatura dei dati) necessario per il funzionamento dei sistemi,,.
Strategie operative di resistenza e mediazione
Per esercitare una reale supervisione, è necessario adottare pratiche che mantengano attivo il pensiero critico e prevengano la delega cognitiva.
• Uso di dispositivi locali e aperti: La competenza tecnica si traduce nella capacità di utilizzare modelli linguistici eseguiti in locale (Local LLM come Jan.AI) o motori di ricerca non profilanti (come DuckDuckGo o Perplexica), sottraendosi alla logica del cloud proprietario e proteggendo i propri dati,.
• Strutturazione autonoma della conoscenza: Per evitare la “scompensazione” cognitiva (l’indebolimento delle facoltà mentali dovuto all’eccessiva delega), è fondamentale utilizzare strategie logico-visive come le mappe concettuali, costruite attivamente dal soggetto per organizzare il sapere, anziché affidarsi a schemi generati automaticamente,.
• Verifica delle fonti (“Sherlock Holmes vs Watson”): Di fronte a sistemi che soffrono di “allucinazioni” (errori fattuali presentati con sicurezza), l’utente deve assumere il ruolo dell’investigatore (Sherlock Holmes) che verifica rigorosamente ogni informazione fornita dall’assistente (Watson), trasformando la ricerca in un’indagine sull’attendibilità delle fonti,.
In sintesi, la supervisione cognitiva consapevole richiede il passaggio da un atteggiamento di adattamento passivo all’innovazione (“tecno-liberismo educativo”) a una postura di “ricercatore inopportuno”, capace di interrogare i dispositivi sul “perché” e sul “se”, oltre che sul “come”, mantenendo il primato del senso critico sulla potenza di calcolo.


