De digitali senectute

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Oltre il Corso di Computer: 5 Verità Controintuitive sull’Apprendimento Digitale nella Terza Età

Introduzione: Il Digitale non è una Condanna

Per molte persone anziane, il mondo digitale si presenta spesso come una serie di ostacoli frustranti. Procedure complesse per ottenere lo SPID, portali della pubblica amministrazione incomprensibili, operazioni bancarie online che generano più ansia che vantaggi. Questo scenario alimenta un sentimento di inadeguatezza che non nasce da una reale incapacità, ma è il risultato di una diffusa e introiettata visione abilista e ageista della società. Di conseguenza, la formazione digitale viene vissuta non come un’opportunità, ma come un “ri-addestramento” forzato, un percorso da subire per essere ri-abilitati a un mondo che sembra averli lasciati indietro.

Questa visione, però, è il risultato di un approccio sbagliato, che mette al centro il dispositivo e le sue regole, invece della persona. Continuare su questa strada porta a uno spreco discriminante di segmenti importanti di vita e a una vera e propria anestesia culturale. Fortunatamente, esiste un modo radicalmente diverso e più umano di avvicinarsi alla tecnologia: un metodo che parte dagli interessi, dalle passioni e dal progetto di vita di ciascuno, trasformando gli strumenti digitali da totem incomprensibili a potenti alleati della quotidianità.

Questo articolo esplora 5 delle lezioni più sorprendenti e controintuitive emerse da questo nuovo approccio, dimostrando che l’apprendimento digitale può essere un’esperienza serena, emancipante e persino divertente, a qualsiasi età.

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1. L’ingrediente segreto è il gioco (persino con l’Intelligenza Artificiale)

Quando si parla di formazione tecnologica, la parola “gioco” sembra fuori luogo. Invece, si è rivelata una risorsa strategica fondamentale. Non si tratta di competizione, ma di riscoprire il valore del gioco come veicolo di apprendimento, proponendo attività mutualistiche e cooperative. È un metodo per esplorare, provare e sbagliare senza ansia, in un’atmosfera che favorisce la collaborazione e la condivisione di scoperte.

L’aspetto più sorprendente è stato applicare questo metodo a tecnologie considerate complesse e distanti, come l’intelligenza artificiale generativa. Invece di subire lezioni frontali, i corsisti sono stati invitati a “giocare” con strumenti come ChatGPT, Adobe Firefly e Suno. Hanno esplorato le interfacce per creare immagini fantasiose, hanno posto domande divertenti e seriose ai modelli linguistici e hanno persino composto canzoni. L’esperimento con Suno, ad esempio, non solo è stato un’attività ludica, ma ha innescato riflessioni profonde su temi come la polarizzazione delle opinioni. L’arrivo sul mercato di strumenti cinesi, inoltre, ci ha permesso di ragionare sulle tensioni geopolitiche indotte dalla corsa alla supremazia tecnologica.

Questo approccio trasforma l’apprendimento da un’imposizione a un’esplorazione condivisa.

…giocare vuol dire infatti provare, accettare di sbagliare e di dover correggere e ricalibrare, ma anche condividere, mostrare, analizzare, confrontare, emulare, valutare, integrare.

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2. L’obiettivo non è ‘saper usare Google’, ma essere cittadini digitali consapevoli

Quasi tutti i partecipanti ai corsi avevano già una certa familiarità con Google e con il meccanismo delle parole chiave, almeno tramite smartphone. Invece di fermarsi a questo, si è partiti da qui per andare molto più a fondo, trasformando una semplice lezione sulla “ricerca di informazioni” in una lezione di cittadinanza digitale.

Il primo passo è stato svelare cosa si nasconde dietro il “consumo di informazione”: la personalizzazione degli risultati e la sorveglianza a fini di marketing. Questo ha aperto la porta a concetti cruciali come la privacy e alla scoperta di motori di ricerca alternativi (Qwant, DuckDuckGo) che non profilano l’utente. Si è poi esplorato il mondo delle licenze Creative Commons, un esempio concreto di come la conoscenza possa essere condivisa in modo non puramente commerciale.

L’obiettivo finale di una formazione emancipante non è insegnare una procedura, ma fornire gli strumenti per sviluppare un approccio critico a qualsiasi proposta innovativa. Significa trasformare gli utenti passivi in cittadini attivi, capaci di resistere a facili narrazioni “soluzioniste” e di muoversi nell’ecosistema digitale comprendendone le logiche socio-economiche ed etiche.

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3. Il software ‘libero’ libera il potenziale (e protegge la privacy)

L’osservazione pratica è stata il punto di partenza: la maggior parte dei corsisti utilizzava computer con sistema operativo Windows e, talvolta, la suite Microsoft Office. Questa situazione comune è diventata un’opportunità per introdurre due concetti rivoluzionari: il free software e l’opensource.

Presentare LibreOffice come alternativa potente e gratuita a Office e Wikipedia come esempio di conoscenza condivisa e non mercificata ha permesso di mostrare un’alternativa concreta all’approccio commerciale dominante. Ma la scoperta più sorprendente è stata un’altra: la possibilità di utilizzare modelli di intelligenza artificiale linguistica direttamente sul proprio computer, senza inviare dati in rete, tramite software come Ollama. Questo ha reso tangibile un vantaggio cruciale: la tutela della privacy, poiché le informazioni personali non circolano su server esterni.

Questo approccio dimostra che scegliere software libero non è solo una questione etica, ma anche una scelta pratica che porta a un significativo risparmio economico, sia a livello individuale che collettivo.

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4. Dimentica la paura di sbagliare: il vero superpotere è il “taglia e incolla”

Esiste una differenza fondamentale tra scrivere su carta e farlo con un programma di videoscrittura. La carta è un supporto rigido, che incute un certo timore reverenziale. Un documento digitale, invece, è un supporto flessibile, e la sua “plasticità” è forse l’aspetto più importante di tutta l’elaborazione culturale tramite dispositivi elettronici.

Questa flessibilità è perfettamente esemplificata dalla funzione taglia-e-incolla. Un’operazione semplice, ma dall’impatto psicologico enorme. La consapevolezza di poter riscrivere, correggere e riorganizzare un testo in qualsiasi momento depotenzia la paura di sbagliare. Anche imparare a gestire lo spazio sul foglio virtuale, usando funzioni come la centratura o la giustificazione del testo, fa la differenza, sostituendo abitudini approssimative ereditate dalla macchina da scrivere, come l’uso della barra spaziatrice per creare rientri. La revisione smette di essere un fallimento e diventa una parte normale e serena del processo creativo.

…sapere di poter procedere per “prova e verifica” ha infatti valenza inclusiva e rassicurante…

Assimilare questa prospettiva non è solo un cambiamento operativo, ma un vero e proprio cambiamento cognitivo e culturale. Favorisce un approccio più rilassato e sperimentale alla creazione di contenuti, sia a livello individuale che collaborativo.

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5. Curare la “sindrome dello smartphone” è più facile del previsto

Uno dei bisogni più sentiti dai corsisti era risolvere la “sindrome dello smartphone”. Erano pienamente consapevoli che lo smartphone è uno strumento per l’elaborazione rapida ed estemporanea, mentre il PC è pensato per quella approfondita e strutturata. La domanda era una sola: come far comunicare questi due mondi in modo efficace?

Molti avevano già sperimentato in autonomia soluzioni goffe: inviarsi email con allegati, combattere con il Bluetooth, o immaginare di dover acquistare cavi specifici. La sorpresa è stata grande quando è stata rivelata la “soluzione indolore”: l’esistenza, nei sistemi operativi più recenti, di moduli che collegano PC e telefono sfruttando la stessa rete Wi-Fi, o di software dedicati che rendono il trasferimento di file semplice come spostarli tra cartelle – una logica, quella dell’ecosistema delle cartelle, già affrontata negli incontri propedeutici del corso.

Questo “rovesciamento delle aspettative” è stato un momento di apprendimento importante. Ha dimostrato che, quando un bisogno diventa diffuso, il mercato si muove per offrire una soluzione. Il cittadino-consumatore consapevole deve aspettarsi e pretendere queste semplificazioni, trasformando una frustrazione individuale in una legittima richiesta al mercato.

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Conclusione: La Tecnologia al Servizio della Persona

Il filo conduttore che lega queste cinque lezioni è uno solo: il successo dell’apprendimento digitale non dipende dalla “totemica centralità dei dispositivi”, ma dal mettere al centro gli interessi, le passioni e il progetto di vita della persona. Quando la tecnologia smette di essere il fine e diventa uno strumento per potenziare ciò che già siamo e amiamo fare, la paura svanisce e lascia il posto alla curiosità e alla scoperta.

E se iniziassimo ad applicare questo approccio rovesciato, umano e sereno, a ogni forma di educazione tecnologica, a prescindere dall’età?


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